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lunedì 29 luglio 2013

Paranormale (Story) seconda parte

Ero in quella cucina da solo, in quel castello disabitato, in quella collina vuota, in quella zona deserta, e qualcosa aveva appena pronunciato il mio nome.
Non avevo mai preso in considerazione la possibilità di un fenomeno paranormale, dato che se ci avessi pensato, non avrei accettato così allegramente questo lavoro. Nonostante l'ottima paga.
Ricordo che quella fu una delle giornate più lunghe della mia vita.
Io non avevo il coraggio di aprire quella porta nonostante fosse l'unica cui potevo accedere, vi spiego: il castello era diviso in tre aree.
L'area uno comprendeva una parte del primo e secondo piano, e quattro stanze del quinto.
L'area due comprendeva il resto del primo piano, tutto il quarto piano e l'altra parte del quinto.
L'area tre comprendeva il resto del secondo piano e tutto il terzo, era a me proibita.
Non seppi mai né perché era diviso in tre, né perché avevo accesso solo a due parti, quello che so, è che in quella cucina c'erano due porte: una portava all'area uno e l'altra all'area tre.
Ero dunque di fronte a un bivio: infrango le regole addentrandomi in una zona sconosciuta e "sconsigliata" -così l'aveva presentata il mio datore- , o affronto il corridoio dietro la porta dal quale era provenuta la voce tanto fredda?
Scelsi di non scegliere.
Pulito lo schifo sul tavolo, sparecchiai e lavai i piatti da me usati; non era una cosa che amavo fare ma mi era d'obbligo. Le finestre enormi permettevano alla luce solare di illuminare la stanza, e al contempo tenermi compagnia. Amavo il bel tempo.
Quattro ore dopo, -lo so perché l'orologio a pendolo era tutto ciò che avevo da guardare- invaso dalla noia, decisi di tirare a sorte. Il famoso ambarabaccicciccoccò mi consigliò di tornare all'area uno, ma la paura consigliò l'opposto così provai, incoraggiato dalla piccola voce nella mia testa che ripeteva "non c'è niente che non va, è solo la solitudine", ad aprire la porta proibita.
Non c'erano chiavi in quel castello. In nessuna porta, manco nei bagni ed è un'altra cosa che non capirò mai.
La cosa divertente, è che non c'erano manco serrature.
Scricchiolante, lenta e pesante, si aprì. La luce solare entrò appena in quel buio pesto che mi accolse...
C'era odore di chiuso e molta, molta polvere. Lo so perché le mie narici protestarono procurandomi due potenti starnuti: di quelli che ti portano a ridere nelle serate con gli amici.
La mano destra reggeva il candelabro, la sinistra e non so come mi venne in mente, un coltello per il pane.
Mi faceva sentire al sicuro, forte e magari anche un pò figo.
Le candele mi rivelarono la verità su quella stanza, e devo ammettere che rimasi alquanto deluso: era una cantina... Vini di ogni genere occupavano le tre pareti restanti. Erano tutti coperti da grossi strati di polvere e molti presentavano anche ragnatele voluminose.
Abbassai l'arma e sorrisi dandomi dello sciocco: come avevo fatto a spaventarmi per così poco? Stupide voci causate dalla solitudine, stupidi attacchi di freddo magari dovuti a cali di pressione e aree private che nascondevano solo buoni vini. I padroni tirchi volevano sicuramente preservare la loro collezione da ricconi.
Risi pensando a quel panzone di un datore di lavoro che aveva definito "sconsigliata" l'area tre, risi pensando a quel castello abitato solo da ragni e insetti, risi pensando a quanto dovevo esser ridicolo ad aver paura di una cantina grande quanto un bagno.
Poi qualcosa rise con me e io smisi di farlo.
Non somigliava alla voce udita ore prima, non somigliava a una voce umana, non so manco se somigliasse a qualcosa visto che rimasi shoccato dal sentire che proveniva dalle mie spalle.
C'era qualcosa, ed era esattamente dietro di me.
Lentamente mi girai, l'espressione che assunsi credo possa esser paragonata a un pesce lesso...
Notai che non c'era niente, ma a quel punto mi era chiaro il fatto che o ero diventato pazzo, o qualche fantasma era venuto a farmi visita.
La porta si chiuse di scatto e la folata di vento causata da essa, spense tutte e cinque le candele del mio candelabro... A quel punto sollevai il coltello davanti a me ed iniziai a gridare. Credo d'aver chiesto chi c'era o qualcosa del genere, ma non ne sono sicuro ormai.
L'eco della risata continuò sempre più forte anche se ormai mi era impossibile capire la posizione della fonte...
Il timbro vocale aumentò di volume, e ancora, ancora e ancora fino a tornare a zero di colpo.
Il mio udito era partito di nuovo e questa volta la testa mi scoppiava...
Iniziai a piangere e con le lacrime, caddero anche le candele e l'arma.
Ero al buio in una cantina di un castello infestato, in compagnia di un qualche essere ridente che per quanto ne sapevo, poteva uccidermi da un momento all'altro.
Mi accasciai in terra: le mani a coprire le orecchie, gli occhi sigillati, i denti serrati e le ginocchia rannicchiate...
Poi, accadde.
La porta si aprì lentamente permettendo a una flebile luce l'ingresso nella cantina, mi ci volle qualche minuto per realizzare ciò e appena il cervello mi tornò a funzionare, gattonai fuori con una rapidità ai limiti dell'umano.
Sbattei la porta e tornai alla zona lavandino in cui mi lavai repentinamente la faccia impregnata di polvere e bagnata dalle lacrime tutt'ora sgorganti... Poi, un dolore lancinante si impossessò di me.
La mano sinistra, all'altezza delle nocche, era di un viola intenso.
Mi resi conto di non riuscire a muovere le quattro dita soprastanti e non mi ci volle molto per capire che erano tutte rotte tranne il pollice.
La frattura non era scomposta fortunatamente, e il "come ho fatto a romperle" passò in secondo piano visto che il male che mi faceva era acuto e continuo.
La testa non aveva smesso di pulsare il ché coprì in me la consapevolezza che l'udito era tornato chissà da quanto... Misi la mano sotto l'acqua gelata e al contempo mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa con cui improvvisare un'ingessatura.
La mia carriera artistica finì quel giorno.
Non mi ricordo cos'altro successe in quella giornata, so dirvi con certezza che l'ingessatura fu una garza bella spessa e varie stecche che irrigidivano la mano dal polso alla punta delle quattro dita.
Un pò ridicola, primitiva e poco resistente, ma era meglio di niente.
So dirvi anche che quella notte la passai in cucina e che non cenai ne feci colazione il giorno seguente.
Non ricordo se dormii o no, son sicuro di ricordare che non ci furono altri eventi strani: né quella notte, né fortunatamente il giorno seguente.
Forse ora riderete ma... Passai anche le 24 h successive in quella maledetta cucina. Non osavo manco pensare alla possibilità di tornarmene al quarto piano visto che non volevo più avere niente a che fare con gli spiriti.
Due giorni dopo la rottura della mano e la scoperta della cantina, feci il grande gesto di aprire la porta - con molta cautela- che portava alle scale con cui tornarmene alla camera.
Ero terrorizzato e manco respiravo bene, ma con la forza della disperazione si fa tutto, credetemi.
Così raggiunsi e salii le scale.
Così arrivai al quarto piano.
Così mi incamminai per il corridoio nel quale avevo fatto il disegno giorni prima.
Così lui si arrabbiò.

FINE SECONDA PARTE.

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