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martedì 30 luglio 2013

Paranormale (Story) quarta parte

Sono sempre stato l'elemento da evitare in un gruppo.
Ero quello che nella foto di gruppo teneva gli occhi chiusi ed ero quello che non capiva l'orario della cena di classe così da arrivare che tutti mangiavano.
Però fui felice sotto più aspetti: mi sposai, ebbi due bellissime bambine, e un meraviglioso cagnolino che tutt'ora abbaia nei miei pensieri.

Varcai la soglia dell'ultima stanza del terzo piano, - l'area proibita e sconsigliata -.
Io posso assicurarvi che mentre camminavo verso quella ambigua meta, dentro la mia testa echeggiava una voce amica che mi indicava la via. Ma posso assicurarvelo ora, li per li non ci stavo tanto con la testa...
Entrai e non capirò mai come, ma venni accolto dalla luce artificiale di un mucchio di lampadine situate in un lampadario appeso nel soffitto. C'era la corrente, ed era in piena funzione da chissà quanto visto che di interruttori, non ne avevo vista l'ombra.
Chiusi la porta alle mie spalle lasciando fuori la tenebra regnante.
Era una grande camera da letto le cui pareti presentavano numerosi quadri risalenti a chissà quali antenati locali. Nell'angolo della parete di fronte a me, a sinistra, vi era un grosso specchio la cui cornice bronzea deliziò i miei stanchi occhi.
Un letto ben fatto partiva dal muro esattamente opposto, decorato anche da numerosi disegni di vari colori spenti.
Nonostante l'ovvio poco uso di essa, quella stanza non presentava un filo di polvere bensì appariva fresca e curata, con un'accogliente odore di pulito e una rinfrescante aria fresca ben respirabile.
Mi avvicinai al letto così da testarne il materasso.

Ricordo che era Natale quando successe.
La vigilia, precisamente.
Le due bambine giocavano col cane, mia moglie stava preparando l'abbondante cena e l'atmosfera allegra e festosa regnava incontrastata in quella piccola casa tanto amata da tutti noi.
Ricordo che ero in bagno, e poi in salotto, e poi ancora in bagno: si... Stavo male di stomaco.
Fu un attimo, solo mezzo secondo e tutto prese ad illuminarsi vistosamente.
Erano quasi le otto e non saprò mai cosa avvenne veramente.
In quell'incendio: non persi solo la casa, la cena, la festività o il set di mazze da golf nuovo... Vidi ardere vive le mie bambine, vidi il terrore nei loro piccoli occhi spalancati. Vidi il nostro quadrupede felice correre fuori dall'abitazione e non far più ritorno, era illeso per fortuna.
Era finita. La mia vita era finita.
Svenni per il fumo e ripresi conoscenza giorni dopo sul letto d'ospedale. Erano stati trovati i corpi carbonizzati delle piccole, il cane era stato trovato morto per asfissia poco distante e il cadavere di mia moglie sicuramente era sotto le macerie da qualche parte, nonostante ancora non fosse stato rinvenuto.
Rimasi solo.
Inutile descrivervi i percorsi psichiatrici, psicoterapeutici, gli episodi deliranti e depressivi che ne seguirono.


Mi stesi sul materasso poggiando la testa sul cuscino coperto dalla coperta dal pesante tessuto.
Socchiusi gli occhi respirando a pieni polmoni e lasciando la paura, fluire fuori dal mio corpo stressato e ferito. Sentii ogni muscolo sciogliersi, il cuore che calava i battiti, la testa che pulsava di meno. Sentii sollievo, sentii buon umore.
Poi cominciai a sentirlo.
Era un profumo molto acuto ma estremamente lontano: un odore familiare e di buon gusto.
Mi alzai a sedere, e poi in piedi. Andai verso quello specchio che già dall'ingresso aveva attirato la mia attenzione, e nel farlo, non gli tolsi gli occhi di dosso.
Mi specchiai.
La prima cosa che notai fu il riflesso mancato: non c'ero io. Non c'era nessuno in quel vetro riflettente.
Subito dopo comparse una sagoma, poi una persona. Mi riconobbi.
Era strano... Era come se l'immagine fosse liquida, priva di massa e alquanto distorta.
Mi avvicinai scettico e quando lo feci, l'immagine di una donna comparve accanto al mio riflesso... Più precisamente, era alle mie spalle.
Ricordo che le chiesi chi fosse, e ricordo che attesi qualche buon minuto prima di ricevere risposta.
Aveva il volto coperto da un cappuccio ma dalle curve sinuose del suo corpo, e dai boccoli che fuoriuscivano da quel cappotto scuro, avrei potuto metterci la firma riguardo l'indiscussa femminilità e bellezza.
La voce era seguita dall'eco nonostante la mia non lo avesse.
Mi rispose che sapevo già la risposta, seguendo poi con una piccola risatina.
D'un tratto, uscii dallo stato semi-ipnotico in cui mi sentivo e cominciai a formulare l'ipotesi più assurda e stravagante che mi fosse mai balenata per la testa.
Quando le chiesi se era chi pensavo fosse, la mia voce tremò notevolmente tanto da farmi pentire di aver posto quella domanda.
Non poteva esser lei, non poteva esser mia moglie. Era morta nell'incendio, era bruciata viva insieme alle piccole. Era...
Quando si tolse il cappuccio ogni "era" scomparve, sostituito da un'irrefrenabile voglia di gridare di felicità e paura.
La donna che avevo portato all'altare era alle mie spalle, e io la stavo guardando tramite il riflesso di uno specchio liquido in una stanza con la corrente all'interno di un castello infestato e senza luce.
Interessante!
Mi voltai e con un mix di stupore, felicità, paura, tristezza e non so quali altre emozioni, feci per stringerla.
Prima lo specchio liquido, ora una moglie deceduta aeriforme.
Strinsi il niente e le passai attraverso senza però intaccarne la bellezza e la compostezza...
Mi girai allibito e lei con un mezzo sorriso mi beffeggiò chiedendomi cosa mi aspettavo da una morta.
Non ci capii niente.
Passai qualche istante in perfetto silenzio per poi balbettare spiegazioni.
Era morta il giorno dell'incendio, ma non a causa del fuoco visto che l'aveva appiccato lei stessa.
La vita le era stata tolta per mano autolesionistica.. L'impiccagione dovuta ai rimorsi di aver incendiato una famiglia intera.
Sembrava tranquilla, in pace e in perfetto agio.
Fu li che scoppiai a piangere come un bambino...
Il passato che credevo di aver superato era in realtà più vivido che mai, la donna che credevo di aver sposato non era altro che una ex omicida ora fantasma, le mie bambine non erano state vittima di un incidente ma di un omicidio la cui "preda" dovevo esser esclusivamente io.
Aprii la finestra.
Tre piani non sono pochi, ma quando la fortuna ce l'ha con qualcuno, c'è poco da fare o dire.
Mi schiantai al suolo del prato esterno al castello a un'elevata velocità, perdendo i sensi ma non la vita.
Quando mi risvegliai ero nuovamente nel letto d'ospedale.
Avevo perso l'uso delle gambe.
Nei giorni seguenti persi ogni forma di reputazione viste le vicende che avevo vissuto che, secondo gli altri, erano fandonie.
La mia dignità andò a mancare colpita dalla consapevolezza di aver fallito come marito e come padre.
Tutt'ora, a distanza di quindici anni, non riesco a muovere le quattro dita della mano sinistra nonostante non vi sia nessuna frattura né arrossamento della pelle.
Ho una mano esteticamente perfetta e dall'ossatura intatta, inutilizzabile senza un motivo preciso. I medici non ne hanno la più pallida idea.
Non saprò mai perché tutto ciò avvenne, non saprò mai perché lei voleva farmi fuori, non saprò mai se qualcun'altro ha vissuto ciò che ho vissuto io dentro quelle mura o altrove.
Non tornai mai più in quel castello.
In quell'inverno sono morto dentro, e non rinascerò più.
Mai più.

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